Laffo, forza è, che al natio voftro nido; Donna, mal grado mio, faccia ritorno; Che da la beltà vostra è fatto adorno, Come da la fua Dea, Citera,e Gnido: Nè penfier, nè timor di mar'infido
Mi può tener, nè caldo eftivo giorno, Che dell'alma Città, cui freme intorno L'Adriaco mar, non torni al dolce lido. Il candor de le perle d'Oriente,
E l'oftro, e i bei coralli, onde l'aura efce, Che fpira al cor cofi foavemente,
Ove Amor tutte le dolcezze mesce;
Son la cagion, che à voi torno fovente; Pien di difio, che 'n me fempre più cresce.
Giulia, la bocca, che v'imperla, e inoftra Amor, per cui fol arde, à cui fol penfa La mente mia di difio fempre accenfa,
Miracolo, & onor dell' età nostra: Quante gemme oggi à noi Vinegia mostra, Vince di pregio, e di bellezza immenfa; E non s'ammira in cofi ricca Senla Cofa più bella della bocca vostra. O celefti rubin, perle divine,
Che'l cor premere d'amorofa falma, Ove celefte nettare fi liba,
Perche del vostro odor di mattutine, E frefche rofe (oimè) fola queft'alma Frà mille amanti non fi nutre,
Spirto gentil', al cui felice ingegno Benigno afpira il facro Aonio coro, Siche candido Cigno alto, e canoro Sete dall' Auftro a l'Iperboreo regno: S'à voi come dovrei, fpeffo non vegno, Io però fculto nel penfier v'adoro,
E ammiro, e lodo ii voftro ftil d'alloro, E d'alta fama eternamente degno. L'Ebro fi lieto mai non fù d'Orfeo, Come per voi di gran piacer s'ingombra Il famofo figliuol del gran Benaco. Ei vi produffe, e ben fimil vi feo
A chi cantò fi dolcemente à l'ombra, Titiro, e Melibeo, d'un faggio opaco. IX,
D'alta ftirpe regal famofa, e degna Donna, fplendor di quefta etate ofcura, Ne la cui mente faggia, umile, e pura› Spirto di Carità fi ardente regna, Beata voi, che d'ogni foma indegna Scarca poggiate al Ciel per via fecurat Di virtú piena, e di celefte cura, E del faper, che l'Evangelio infegna : In voi vera Umiltate, in voi fi vede Vero culto di Dio, vere, e fante Voi del feme divin campo fecondo. A'voi s'appoggia la fmarrita Fede; A voi la Verità pura fi scopre,
B da voi impara ad amar Cristo il Mondo;
Principe invitto, a la famofa Iftoria De voftri gefti, e de voftri Avi egregi, Ch' ornar Ferrara di fi ricchi fregi, Ch'ella, & Italia fe n' effalta, e gloria: Giunta avete oggi la piu bella gloria, Che' I Mondo lodi, e che Dio ami, e pregi a Siche v'auranno Imperadori, e Regi Invidia ognor di fi immortal memoria. Che imitato non pur Cefare avete
In perdonar, mà à noi l'effempio mostro Di produr frutti del divin Vangelo. Degna materia, che da Stige, e Lete Mille fcrittori il chiaro nome vostro Alzin con penne gloriofe al Cielo. XI.
per Dio: ftaffi oziofa, e dorme La vostra dotta mufa, il mio Acciaivolo? O pur Apollo altieramente à volo.
Ui fcorge al fonte fuo per l'ufate orme? Che fà colei, che in mille varie forme Cangiar vi può con un fuo fguardo folo ? Tienvi ella in pianto, e in angofcioso ducto? O' pur' è in un defio con voi conforme ? Che fa il Bucino; il Nigrifolo, e'l nostro Muzio gentil, che lei fola ama, e teme; E loda lei con celebrato inchioftro ? Me nuova febbre cofi affligge, e preme : Ch' effer non poffo del collegio vostro 3. E però tutti ui faluto infieme'..
Lilfo, fimil v' ha fatto il gran Monarca (Che fete infermo ognor, nè mai robusto) Ad un bel tronco, ove in palagio augufto Soggiorna col fuo Rè la pecchia parca : Come 'l.celefte dono ivi fi fcarca
Con alterno fudor, con ordin giufto Dal vago ftuol, che per lo calle angufte Il dolce pefo fuo portando varca: Cofi pongono in voi l'alme forelle Del Caftalio liquor doni soavi D'infinito faper, d'alti concetti, É del vostro troncon empion le celle A guifa d'Api, e vi fan dentro favi Ch'eterni cibi fien degl'intelletti. XIII.
I falfi lidi, e le lacune infefte.
Lafcia omai Batto, & à veder ritorna Del Rè de' fiumi le Taurine corna, E le campagne, ch'or Zefiro veste. Lavè in tetto regal trà mille onefte
Ninfe, e trà i fiori, e gli l'Arbuscei foggiorna La gran Renea, che 'l fecol nostro adorna Di chiari onori, e di virtù celefte. L'Augel nunzio del giorno ivi vedrai Cantar più che mai lieto, e gli augelletti Seco allegrarfi fulle verdi fronde;
E di bei gigli ornati ir più che mai Lieti i Paftori, e ridere i boschetti,
Le piagge, e l'erbe, ei fior,e l'aura, e l'onde
Ne mar giammai potrà, ne lontananza, Nè alcun altro penfier', nè mese, nè annoy, Giulia cagion de l'amorofo affanno,
Far ch'io lafci di voi la rimembranza: Che le purpuree labbra, ove Amor ftanza; Ne la mia mente ognor fisse staranno E'l parlar, e i coftumi, ei vezzi, ch' hanno Contra 'l mio cor (oimè) troppa poffanza: Deh vi potefs'io dir quanto m'increfca Lafciar'gli amati lidi; e voi mirando Far gli occhi miei co' miei penfieri allegri Vi lafcio, à Dio, bramofo d'effer efca
Nel mar a'i pefci, in via, che non sò quando Poffan più rivedervi i miei lumi egri. X V.
Senza difio di palme, e di trofei, D'Ambizione d'ogni gloria privo, Corfo gentil, in duro efilio vivo, Lungi dal natio Ren, questi anni rei. Il Re' de' fiumi ode gli affanni miei : Qui fulle rive fue ripofo, e fcrivo; Del lucido mio Sol, fenza il cui vivo Raggio difcara questa luce aurei,
Voi, cui Fortuna, e 'l Ciel fà più benigno 3 Che'l bel nido natio godete in pace, Nè duro efilio il cor v'affligge, & ange:: Folcia che fete fi canoro Cigno,
Mandate Ancona con lo ftil vivace
Dal Borea a l'Auftro, e da le Gadi al Gange.
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