Fabro celefte, il cui martel già feo L'arme al gran Giove, da la cui percoffa Reftar fotto Etna, Olimpo, e Pelio, ed Offa Spenti Effialte, Encelado, e Tifeo; E gli altri empi fratei d'Otto, e di Cco Di terribil valor, di ftupende offa, Che avean à i fommi Dei la guerra moffa Da furor fpinti impetuofo, e reo: Quefto candido lin del fuo amor finto, Già dato pegno da colei, ch' or lafcio, Ti dono, e in mezzo a le tue fiamme ti ardo: E quefte rime, e'l calamo bugiardo,
Che lei lodaro (ecco di rimeun fascio) Ardan per fegno del mio foco estinto, XVII.
Come talor fulla frondofa schiena
Del nevofo Appenin la felva aprica, Che ebbe pur dianzi la Natura amica, E fù di fronde, e di bei rami piena ; S'Euro la fcuote, ò Borea irato mena Per l'aria fosca, grandine nemica, Sfrondafi tofto, e la bellezza antica Perde, fervando i nudi tronchi appena Cofi de la mia Donna in un repente 1 capei d' oro al divin capo tolle Dira, improvifa, abominanda lue. Indi mandafti Amor à me dolente La pefte ria, che ardor antico fciolfe, E turbo tutte le dolcezze tue
Nelle tumide corti, e tetti alteri De le città trà le fuperbe mura Staffi l'invidia, e la mordace cura, La cieca Ambizion, gli afpri penficri : Trà i folti boschi, e gli orridi sentieri Siede la vita più tranquilla, e pura Ne le ville, e nei campi, che non cura Gemme, oro, dignità, caftella, imperi. Cofi vivea fotto Saturno il mondo;
Cofi Roma in gran fama, e in pregio crebbe Pafcendo or greggi, & or rompendo zolle: Però, Lettor, con ftil vago, e giocondo, E con quel grande onor, che à lei fi debbe, Il Lollio al Ciel l'agricultura eftolle.
Lollio, che in libertate un prato, un colle, Un antro, un rio, gli augei, le felve ombrose Ami più, che le tumide, e faftofe
Corti regali, e'l vulgo ignaro, e folle; Teco m'allegro, poiche à i toschi tolle L'arte 1 candor de le tue dotte profe I primi onori, ond'elle fian famose Sempre col nome tuo, che al Ciel s'eftolle, Anzi ten uai con quel d' Arpino à paro, E coi miglior, che le contrade Argive, D'immortal fama d'eloquenza ornaro. Cofi teco or a le dolci ombre estive Fufs'io nel tuo Museo celebre, e chiaro, Del vago Pò fulle fiorite rive.
Ben deve il mondo aver gradita, e cara La bella traduzion, che fedelmente Gli alti concetti, e la divina mente, E i dotti fenfi di Maron dichiara : Taccian l'invidia, e la calunnia amara, Raffreni Momo il venenofo dente; Ch'ella mal grado lor, fia etemamente, Negrifol mio, fempre famofa, e chiara. Da tal dichiarazion leggiadra, e faggia, Prima di tutte l'altre in tosco stile Tal giovamento l'età noftra miete, Che'ora (è ben degno) ch'ogni cor gentile Molto v'onori, e grande obbligo v'aggia, Nè mai s'attuffi 'l nome voftro in Lete. XXI.
Grave fcrittor, ch' à nuova gloria defti La nostra età, mentre tu canti, e scrivi I dolci Amor dei Satiri lafcivi,
Di Sileno, di Pan, di Fauni agrefti: Ben rara grazia dal Ciel largo avesti, Onde di doppio onor famoso vivi, Ch' à i bofchi, che ne fur gran tempo privi Primo trà noi la Satira rendefti,
Febo di lauro una immortal corona Dianzi ti diede à te benigno, come A Lino, ad Amfione, al Tracio Orfeo Or del bel novo ftile in premio dona D'edere, e di corimbi a le tue chiome Nuova ghirlanda il buon Padre Lico,
Se toglie à noi la Parca invida, e fera Il Giglio, ch'or preffo 'l fuo fin fi vede; Perch' ei ripofi in più tranquilla fede Nei campi Elifi, ò nella terza sfera ; Spogliata fia questa Cittade altiera
Del pregio, e maggior ben, che 'l Ciel le diede Sol rimarrai di tante grazie erede,
Dotto Ferrino in te folo ella fpera. Chi fia mai più, che con parlar fi umano C'inviti ad Aganippe, e a la dolce ombra De le fempre onorate, e verdi foglie ? Empia neceffità, Fato inumano!
Poiche dal mondo un tanto onor ne fgombra E adorna il Ciel di gloriofe (poglie.
Se cento e più colonne, alte, e superbe Sotto 'l gran tempio d'Ercole, e di Vesta Furon già pofte, onde' ancor par, che questa Età dell' opre alcun veftigio ferbe. Sopra l'alte ruine edere, & erbe
Oggi fan chiara fede, & manifefta, Ch'ogni umana eccellenza al mondo resta Vinta dagli anni, e da le Parche acerbe, Questa fol una, che sostien duo tempi, Di pudicizia l'un, l'altro d'Apollo Vincerà il corfo de' futuri tempi.
Che mai non fi vedra ftanca dar crollo
Dal doppio incarco; né gli oltraggi, e scempi Temer dei Fati ingiuriofi, & empi.
Sento gelar tutte le parti eftreme, E di ftupor colmarfi le palpebre ; Sento 'l fiato raccefo, e anguftie crebre In tuon, che invece di parole geme. Sento, che manca al refriggerio speme, E crefce angofcia al giorno mio funebres Sento al voftro apparir l'antica febre
Con che Amor ne' miei polfi e bolle, e freme: Vien quefto ardor da quella chiara lampa, Che piove giù dal più fuperno chioftro
In que begli occhi; onde 'l mio core avvampa O del Lume del mondo unico moftro !
Se del mio incendio voi fete la stampa : Arder debb'io, non voi del foco voftro ? X X V.
Fortunato Trojan, che penetrafti
Ai regni dei Liburni; e falvo, e vivo Di mezo uscito all'empio ftuolo Argive Di molte genti Vincitor regnafti: Frà quefte antiche mura, che fondafti Con lieti auguri, de la patria privo, Jo da nuovi Imenei Legato vivo
Con la mia Donna in penfier dolci, e casti E fe goder il natio Ren mi vieta
Il Ciel nemico, e i fati acerbi, & crudi, Come vietaro à te l'amato Xanto;
Godo quefto bel fiume, e quefta lieta Aria falubre, e quefti dolci studi, E d'Aganippe il bel Collegio fanto.
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