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PROLOG O..

Qche Marco à quer din mano

UANDO fi legge à qnel buon tempo antico,

Si bel Teatro fece, & bella Scena,

Che fù di vetro, & fù parte
di marmo
Et che di tante alte colonne ornolla,
Del marmo di Lucullo, & che vi pofe
Si belle ftatue di Scultori egregj,
Et che fi legge ancor che Caio Antonio
Ne fece una d'argento, & d'oro un'altra
Petreio, & Quinto Catulo d'Avorio,
Et fece Curion quei duo Teatri,
Che fi volgean con fi mirabil arte,
Che compiuto facean l'Anfiteatro,
Penfar certo fi dee, ch'anticamente
Füffer' i giuochi, & le comedie in pregio.
Che veramente la Gomedia è fpecchio
Di naturai coftumi; imitazione
Del viver noftro; imagine del vero :
Pero dietro à fi nobile Poema

Tanto s'affaticar quei buoni ingegni ;
Prima Suffazion, Mullo, & Magnete,
Poi Eupoli, Ariftofane, & Cratino
Et poi tanti altri, che fur meno antiqui::

E al buon Scipio African piacqu' ella tanto'
Che non sdegnoffe à fcriverla à comporla
Durar fatica in aiutar Terenzio.

Però l'Autor confi lerando questo,
Et bramofo oltre modo d'acquistars
· La grazia vostra in farvi cosa grata,
Benigni Spettatori, s'è sforzato
Con lungo ftudio, & con lunge fatiche
Di farvi una Comedia, che fia nuova :
Nuova d'invenzion, & d'argumento;
Non tolta da Latin, ne Greco autore:
Non mai più udita, ne veduta in Scena.
Il suo nome è'l GELOSO; questa è Roma. -
Gli alti palazzi,& li superbi tempj;

Non vi lascian veder l'onde del Tebro:
Eccov'il Tempio la di tutti i Dei,

Ch' or la Rotonda ha nome: piu la sono

Le Terme, e'l Collifeo, & gli Obelifchi;
E i famofi Archi della facra via;

E altri veftigi di edifizi antiqui.

Questo è quel fortunato almo Terreno
Cinto da fette gloriofi colli;

Ch'i Camilli, i Marcelli, i Scipioni,
Ei valorofi Cefari produffe:
Dunque per l'alta maestà di queste
Sacre ruine, & celebrate mura
L'autor tutti vi prega, che con grate ›

Silenzio ftiate ad ascoltar attenti,

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ATTO PRIMO.

SCENA PRIMA.

RIBI FAMIGLIO.

ON accade dir altro: fe vi piace
Mutar famiglio, & non avete caro
Il mio fervir, provederommi anch'io
D'altro patrone: A Dio. fe mai piu
vado

A fervir alcun medico del mondo

In vita mia, che'l canchero mi mangi.
Che faftidio, che pena era la mia :
Star tutto'l giorno con la ftregghia in mane
A ftroppicciar quella mulaccia vecchia :
Poi quando avea bifogno di riposo
Abbifognar che gli trottaffi innanzi
(Come fe fuffi uno afino) a la staffa:
Poi mangiar male, & peggio bere; e udirlo
Garrir con fua mogliera tutto'l giorno
Per la gran gelofia ch'egli ha di lei:

Che veramente n'ha tanto fofpetto,
Tanto martello, ch'ei ne mena smanie
Et fa le piu folenni, & le più espresse
Pazzie del mondo, & non fi fida d'Uomo:
Son certo che per altro non m'ha data
Cofi fenza cagion-questa licenzia

Che pe'l martel ch'egli ha di sua mogliera :^
Et fa un gran male à dubitar di lei,
Ch'ella è una onefta & virtuofa donna:
Ne fi potria trovarne in tutta Roma
Una miglior, non merita d'averla.
Ot fol gli refta un canevaro in casa,
Che dorme tutto di preffo una botte;
Come un porcaccio, & cof fconciamente
Tracanna'l Corso ch'ubbriaco è fempre.
Non dubito ch'à me manchi patrone:
M'acconcierò con qualche buon Prelato,
Che forse mi darà miglior falario
(Perche giovane fono) & miglior fpele.

SCENA SECONDA.

TRUFFA RUFFIANO, BRUNELLO SBIRRO.

C

"OME ti dico, io fui tempre rubaldo

'Dal di che nacqui: & la mia arte è questa Di giuntar quefto, & quello: & di tenere Le femine à guadagno: & di rubbare Cio che poffo rubbar, quando mi veggo

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