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Ch'è de i miglior di Roma, FA, Ma a fua pof

ta:

Io vado al mio viaggio. NA, Eccol per Dio;
Gli è deffo; che per vifta lo conosco

Benche non gli abbia mai parlato, FA. Ma

ella

Mi vien incontra. NA. Mastro io vengo a voi,

Fermatevi, FA, Coftei penfa, ch'io fia
Il medico. NA. Son morta fon spacciata
Se voi non m'aiutate, FA. O doppio male;
La porta è chiufas & gia costei m'è a i fianchi
Che debbo fare? NA. Ove n'andate voi?
Deh ftate fermo infin che vi racconti
La mia difgrazia, FA. Lafciami'l mantello.
NA, Andate pur dove volete, ch'io

Vi voglio venir dietro. FA, Io non potevo
Far il peggiore incontro, NA. Il troppo amo

re

E cagion che vi do quefto faftidio.

FA. 'Et che voi tu da me? NA. Son la mogliera
Di Frefco da Puzzoli: il poverello
Stamane andò con certi fuoi compagni
A definare a la taverna; & quando
Fù ritornato a cafa, incontanente

Gli venne la maggior doglia di tefta
Ch' Vom mai aveffe d'alcun tempo al mondo;
Cominciò a lamentarfi ; e andar per cala
Mugghiando, come un toro, & difperaru:

Et far mille pazzie per quella doglie s
Oltra di quefto gli è venuto ancora
Un dolor ne lo ftomaco fi grande
Che fpafima; che muore ; & pur vorrebbe
Vomitare; & non puo : ftraluna gli occhi
Non vede lume; ha fi groffa la lingua
Ch'appena puo parlare; io credo certo
(Aime) ch'egli fia ftato avelenato;
Jo v'ho portato ( eccolo qui) il fuo fegno;
Vedetelo. FA Non poffo; non ci ho tempos
Verró ben poi ftafera a vifitarlo.

NA, Come ftafera ? quando ei farà morto?
Perche piu tofto or ora non ci date
Qualche rimedio? FA. Or via che ti promes

to

Venir fra un pezzo; come avrò qui in casa Fatta una mia facenda. NA. Verrò anch'io Con voi in cafa. FA. Non ti voglio meco NA. Se ben credeffi di morir non voglio

Spiccarmi oggi da voi. FA. O Dio m'aiuti
NA, Guardate un poco bene a questo segno;
Poi dite'l parer voftro. FA. Credo certo
Che'l diavolo l'abbia qui mandata

Per difturbarmi, NA. Voi non rifpondete
Et mi voltate le spalle ; per Die

Questa è difcortefia. FA. Non mi dar noia
NA, Se ben non fon venuta a man pendenti
Non fiam però fi poveri, e infelici,
Che non abbiamo ancor uno o duo fcudi

Da farvene un presente se ne fate

Quefto piacer, FA. Perdonami, non posso; NA. Che ricetta mi date? FA. Son contento

Di dartene una, orfu fagli un criftero. NA. Come un criftero, s'egli ha male al capo! FA. Io non fo dirti altro rimedio; questo

E il miglior ch' abbia ; vanne. NA, M'ucella

te?

Bella difcrezion. FA. Ma chi potrebbe

Patir tanta feccaggine? orfu vanne

Brutta afina, NA. Afin voi. FA. Vanne in malora ;

Se non che ti : NA. Deh vecchio mentecat

to;

Che mi minaccia, & non ha tanta forza

Ch'amazzaffe un pidocchio. FA. Ah brutea ftrega

Io ti farò fentir se piu m'attizzi

Che fon forse piu giovine, & gagliardo
Che non ti penfi, NA. Che s'io metto mane
A la conocchia, lo farò fuggire

Per tutta Roma. FA. O Dio chi vide mai
La piu oftinata beftia di costei?

NA, Ma che gittar via il tempo, & le parole

Dietro a coftui? FA. Che non ti parti dun-
que?

NA. Mi vo partir per certo. FA. Farai bene
Tormiti dinanzi, NA. Non accade
Ch'io vi ringrazi, FA. Debbe effere'l vino

L'infermità

L'infirmità di tuo marito, NA, O Dio

Vi renda tofto il merito fecondo

L'opera vostra FA. Come avrà dormito

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Non avrà male alcuno. NA. Ve ne incaco. FA. Vanne pur via. NA. Ma che vo far di quefto

Segno in man piu? meglio è che glie lo getti (Poi che vederlo non fi degna) a i piedi. FA, Oh, che ti venga il cancaro malvagia

Femina. NA. Ch'ei non merita altro premio
Di quefto bel fervigio. FA. O buona forte
Non m'ha tocca la vefte, NA. Che gli venga
La fiftola, & la febbre, FA. Infin le donne
Son tutte matte. NA. O che la prima volta
Che monterà il poltron fu la fua mula
Si poffa romper tutte due le gambe,

E'l collo. FA. O pur a l'ultimo fi parte.
NA. Marito mio pur ch'io vi truoui vivo

Come fon giunta a casa. FA. Et ch'è questo
altro

Ch'in qua ne viene? NA. O medico rubaldo
Foftu s'un par di forche. FA. O, oh gli è

Macro

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SCENA TERZA.

MACRO PALAFRENIERO. FAUSTO

E

AMANT E.

Ccolo la per Dio: certo gli è desso.
'Maftro buon d non poffo avere'l fiato
Son venuto correndo da palazzo

Per ritrovarvi: non fete voi mastro
Ermino? io pur per vifta vi conosco
Che v'ho ben visto piu di cento volte
Co'l noftro Cardinal: benche non v'abbia
Parlato mai egli mi manda apposta
A dirvi, che per quanto avete cara
La grazia fua, vegniate a ritrovarlo
A le fue ftanze fenza alcuno indugio.
Che'l povero fignor sta tanto male,
Che non potrebbe ftar peggio; ftamane
Quando tornato fù da conciftoro

Et s'era meffo à tavola à federe
Per definar, gli venne all'improvifo
Con un impeto grande un gran dolore
Nel corpo: che gli fù forza levarfi
Da tavola in un tratto; & gir a letto
A coricarfi: & quando ogniun penfaua
Che gli paffaffe, & che duraffe poco
Quefto dolor, par che gli fia crefciute

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