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Pur troppo ha viffo: & s'egli è vivo ancora
Meffer Domenedio tofto ce'l tolga:
Or mi bifogna andar fubito in piazza
Per pepe & per melangole; da porle
Su le vivande, che ftafera Fulvio
Vol porre inanzi a la fua bella donna
E ai compagni fuoi ch'invita à cena:
Ho gia condotto un cuoco amico noftro,
Ch'ài bifogni ne ferve, & ch'è nell'arte
De la cucina affai fofficiente:

Et come fuoneran ventidue ore
Vogliam ch'apperecchiata fia la cena:
Et perche gli è di Giugno, e'l caldo è grande
E'n cafa roftra non abbiam giardino,
Ne loggia, ne cortil, ne luogo fresco,
Vol cenar Filvio fotto quefto noftro
Portico fu la via dinanzi all'ufcio :
Ma veggo Apizio parafito noftro,
Che folo & tutto allegro in qua fe❜n viene:
Questo è colui che dieci fegatelli

Trangugia in duo bocconi, & mangia al pasto
Quattro libbre di carne, & dieci pani;
Et tre fcodelle piene di mineftra,
Et quaranta bicchier' vota di vino:
Compagno in Gorgadel di Mariano,
Et di quefti che beon l'acqua di vite :
Non voglio ch' ei mi vegga, perche troppe
M'indugiaria colla noiofa ciancia,

SCENA SECONDA.

APIZIO PARASITO.

VA

Ado facendo un poco d'effercizio
Per padir meglio per avere'l de nte
A l'ordine ftafera, à ventidue

Ore fonate al buon cenin di Fulvio

:

Alqual fono invitato da la propia
Bocca di Fulvio con preghiere molte:
Sia benedetto Fulvio: & benedetti
Tutti i fimili à lui: mai di lodarlo
Non farà fazia quefta lingua, o ftanca:
Non vive almen come facea fuo padre,
Ch'effendo ricco, & nobil mercatante
Senza mogliera con un fol figliuolo
Ch'erede fie di lui, viver potendo

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Splendidamente in fua vecchiezza, e'n ozio
Goderfi i frutti de le fue fatiche
Pinzocchero divenne, & di colore
Bigio veftiffi; & diedefi à i digiuni:
Et à le difcipline, e à l'aftinenzie
Che'n fi matura età far non dovea:
O pazzo fenza gufto & fenza ingegno;
I tordi gli putian starne, & fagiani
Quaglie, vitelli, tortore, & caponi
Ch'à me piacciono tanto :i fichi secchi

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Le noci & l'erbe e i pefciolin' minuti
Le mineftre di cavoli, & di ceci
Et la lattuca, & le cipolle, & gli agli
Erano il pafto fuo: or ch'egli è gito
Cofi lontan, che piu non credo mai
Che rivegga Ferrara, il fuo figliuolo
Fulvio governa à fuo modo la cafa:
Dove fera & mattina leffo & rofto
Si mangia i di da carne :i di da magro
I miglior lucci, & le piu groffe tinche
Che fiano'n pefcaria da quefto tempo:
Di verno poi vol fempre i miglior pefci
Che da Comacchio vengan' & da Chioggia :
In quefto tempo cofi paffo paffo

Meglio è ch'io vada à casa di Flaminio

Giovin da ben, compagno, & grande amice
Di Fulvio perch' anch'egli (come penfo)
Debbe effere invitato à quefto pasto:
Giocherò feco un pezzo à toccadiglio:
O à la fcartata: o che torró un croftino
Con quattro, o fei bicchier' de la fua albana
La piu fresca, & miglior di quefta terra:
Poi à la debita ora ove n'aspetta

Fulvio, amendui di compagnia n'andremo.

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SCENA TERZA.

RICCIO FAMIGLIO. BUFFIO CUOCO,

Egna il cancaro à Mastro Zaccheria
Da la fiepe e à Domenico fenfale
Che fur cagion che'l vecchio quefta casa
Difcommoda comprò; fatta all'antica:
Brutta di fuor; brutta di dentro; ofcura
Caldiffima d'eftà; fredda di verno:

Che dall'alba del di fin a la fera
Sempre vi batte'l fol da quefto tempo
Pero comanda Fulvio, che ftafera
La tavola fi ponga fotto questo
Portico al fresco; i trefpidi porto ios
Et tapeto, & tovaglia, & tovagliuoli:
Et la tavola il Cuoco; ma non viene;
Che diavolo fa? ch'indugia tanto?
O che fi fta col fuo boccal' al mufo:
O che la fuppa fa nel brodo grafso,

Et lascia il magro à nui, BUF. Sia mala

detta

La mia difgrazia ; poi che mi bifogna

Effer Cuoco & facchino, RIC. O che gram pefo

Onde tu debba far tante querele.

BUF, Quefto farebbe uffizio di voi altri

Y

Famigli, & non del cuoco: ma schiffate
Volentier tutti quanti la fatica

Totrebbe'n quefto tempo il gatto aftuto
Involarne un piccione od altra cosa,

Ond'io la colpa, & voi n'avreste 'l danno.
RIC. Non v'è à la guardia il guattaro che vieti
Al gatto tanta profonzione ? BUF. Il ghiotte
Bebbe pur dianzi cofi fconciamente,
Ch' or dorme fi che non lo destarebbe
Il falminé, ne quanta artigliaria
Il Duca Ercole nostro ave'n caftello,
RI, Mercè di te fuo mastro, che gl'infegni
Cofi bella virtu. BU. Ma dove debbo
Mettere quefta tavola ? RIC. Vol Fulvio
Che tu la porti infin' à la via grande
Di là da Caftel novo un tratto d'arco
(Vedi s'egli ha difcrezione) a cala
D'un mastro Sinibaldo fuo compare,

Che la preftò l'april paffato a nui.
BU. Di la da Castel novo, che c'è un miglio?
Paghi Fulvio un Fachin, vada al bordello,
Ch'io gli la getto qui, RIC. No far, ch'io
scherzo:

Appoggiala pian piano a questo muro :
Poi togli quefto trefpido : & lontano
Metrilo al mio duo passi, BU. Uno, & duo
paffi

RI. Or piglia questa tavola da un capo:

Ch'io da l'altro l'ho prefa, BU. Ecco la piglio,

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