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IL SOGNO AMOROSO

DEL SIGNOR

ERCOLE BENTIVOGLIO.

I.

O1, che con gli occhi ogn' or languidi, e molli

Ite fpargendo dolorofi accenti,

E d'Amor fpinti per folinghi colli,

Dite il duol voftro a i bofchi, all' erbe, a i venti
Leggere i miei vani defiri folli

Cagion del duol, cagion de mici tormentis
Conforto aureté udendo effer il mio

Duol, forfi più del voftro acerbo, e rio.
II.

Poiche crudel mi fosti in tormi il core,

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In darmi amara vita, in abbruciarmi ;
Deh almen fiami cortese in dar,ò Amore,
Al baffo ingegno mio fublimi carmi;
Perch' io canti altamente il mio dolore,
E la poffanza delle tue fiere armi:
Con quella man che porta, la farétra
Scorgi la penna mia, reggi la cetra.

III.

Dal verde grembo fotto il vago Cielo;
Flora alla terra i fior fpargendo giva;
Li quai, ficuri già da nevi, gelo,
Col dolce fiato Zefiro nodriva :

Perche ornamento delle piaggie, e velo
Foffer de colli, e viste d'ogni riva :
Cantava Progne, perch' ai campi adorni,.
Menava April i bei sereni giorni.

IV.

Quando d' ogni ripofo, e di ragione
Spogliommi Amor, e mi sommerse in doglie
E d'afpri nodi cinto, in ria prigione
Mi chiufe, ne 'I crudel ancor mi fcioglie:
Laffo: il defir d'ogni mio error cagione.
Mi fè feguir chi libertà mi toglie:
Laffo: che fu una luce troppo vaga;
Cagion di questa mia profonda piaga..

V.

Era al meriggio il Sole, e le fegrete:
Ombre cercava ogni animal feluaggio
Dava il Pastor a i fpirti fuoi quiere ;.
Fuggendo all'ombra il caldo folar raggio s
Cantava rime amarofette, e liete

Il Roffignol fopra l'amato faggio;

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Quando mi spinfe il penfier grave, e fofco › Per vie folinghe à un vago ombrofo bofco..

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Fofciache quel penfier condotto m' ebbe^ · }
Stanco, et afflitto al dilettofo loco,
Il corpo qual amando ognor m'increbbe
Stefi trall'erbe, e i fior languido, e fioces
Mà quivi nel mio petto il penfier crebbe,
E più s'accefe; e più fù ardente il foco;
E quel penfier cofi focolo eftinto
M'auria; mà tofto fù dal fonno vinto,

VII.

Tra i rami de ginebbri orridi, & irti
Il fremito di fresch' aure gioconde,
E la dolce ombra delli verdi mirti,
Che mi coprian con l'odorate fronde,
Induffer fonno alli miei ftanchi fpirti;.
E chiufer gli occhi fonti d'amare onde ::
E quel pietofo fonno fece ch'io
Quel gravofo penfier pofi in oblio,

VIII.

Agli occhi miei dal fonno ciò, che prima
Vedean, fù tolto, e un altro oggetto dato ::
E fotto un più feren, e vago clima
Parea ch' io foffi in più piacevol ftato 5
Perch' un lieto palazzo in l'alta cima
D'un bel monte, veder parea da un prato ;;

Qual con la nova, e più serena vista
Tolfe il penfier noiofo all' Alma rrifta,.

IX.

Sonno, che porti fotto le 'negre ali,
Ovunque voli il tuo foave oblio,
Certo che ti dourebbono i mortali
Celebrar più, che ciascun altro Iddio :
Mà più di tutti ogn'or grazie immortali
Di tal fervigio render ti debbo io:
Si ch'i miei fpirti effáltan quanto ponno,
Il tuo dolce valor, piacevol fonno.

X.

Stavo pien d'infinita maraviglia
Nel bel fiorito, e dilettofo piano,
Quando un canuto con fevere ciglia,
Vidi venirmi incontro di lontano;
Qual diffe giunto à me; chi ti configlia
Giovine immerso in error cieço, e vano ›
A far tal via, che fol gli erranti fanno
Che dal dritto fentier fmarriti vanno ?

XI.

Quello è il palazzo, e questi i regni fone ;
Doue il crudel tiranno il fcettro tiene s
Ch' a fuoi fequaci mai non diede in dóno
Altro che pianto, e dolorofe pene:
Non ha pietade à chi chiede perdono,
Nè giamai lafcia guftar Uomo il benes
Anzi gli e un tarlo, che vi rode il petto
E un ladro, che vi rubba l'intelletto.

XII.

Il mio giufto parlar pietoso, e vera
Volgati altrove più ficuramente:
Fuggi il loco crudel, fuggi il fentiero,
Il qual ti mena alla Città dolente;
Dove trionfa il difpietato Arciero
Della mifera cieca mortal gente:
Ch'io fol

per far, che tu fervo non foffi;
Con fretta grande à venir qui mi moffi,

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Pofto ancor fin il vecchio non avea
Alle parole di pietade accefe,
Quando fopra un bel carro l' alma Dea
Madre d'Amor dal vago monte scese:
Et volta à me col vifo, che fplendea,
Più che piropo, per la man mi prefe;-
Poi diffe; figlio à me volgi l'orecchio ;
Et io mi volfi, & allor fparue il vecchio,
XIV.

Stavan al carro fuo due bianche augelle,
Che non s' istancan mai notte, nè giorno j
E mentre van pel Ciel fereno quelle,
Mille foavi odor fpargon d'intorno.
Il vago carro è d'infinite, e belle
E ricche perle lucido, & adorno:
Un nuvoletto lafcivo dai rai

D'Apollo non lo lafcia offender mais

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