E' if bel temone un fin, lungo, e lucente Smaraldo; ambe le rote fon criftalli, Seguon gli amori il carro, dolcemente Scherzando trà gli fior azurri, e giallis D'arpe, e di lire alta armonia fi fente ! Si veggon mille giochi, e lieti balli, Nell' una man l'eburnea verga avea, E nell' altra la briglia Citerea.
A lato all' alma Dea trè graziose Leggiadre Dive fopra il carro ftanno: Queste le Grazie fon liete, e amorose, Che 'n compagnia di lei mai sempre vanno : Di pallide viole, e frefche rofe
Queste gli biondi bei crini cinti anno ÷ Rife la terra, e 'l Cielo, e fece Flora Liguftri, e gigli nascere ivi allora.
O fortunati fempre i tuoi verdi anni (Diffe la Dea) fe giungi à quel palagio ; Chiunque fugge gli amorofi inganni Vive infelice in difpiacer malvagio : Quello il loco è ; dove non sono affanni, Mà gioia e fefta, e ogni piacer, & agio: Quivi ogn'or lieto, e senza caldo, e gelo Vive ciascun come fi fà sù in Ciclo.
Jo fon la Dea, ch' ai dolci ingegni done Gli penfier dolci, e gli dolci defiri; Vener la Dea del terzo Cielo io sono, Che dò a i nemici miei fupplici diri; E chi mi sprezza in crudel foco pono, E lo pafco di lagrime, e fofpiri; E fon Regina de leggiadri cori, Madre di tutti i pargoletti Amori.
Che giova a l'Uom'aver ville, e caftella E palazzi fublimi, e gran teforo, Se fenza aver allato Donna bella Sen giace in letto Sol penfando all'oro? Vive miferamente in pena fella;
Nè fente un piacer mai, nè alcun riftoro: Mà quel c' ha la fua Donna amata allato Cangiar non dee col Rè del mondo ftato,
Cofi il dolce parlar m'accese il petto, Che senza altro parlar rifpofi andiamo Seguo il bel carro, e verso l'alto tetto Di quel Rè altier cantando c'inviamo; Dopo lango falir giungo a un boschetto U, gli arbori han di fior carco ogni ramo; Da man divina fabricato il bello
- Palazzo è pofto nel mezo di quello,
Tutto di gemme preziose adorno Quivi il palagio ful bel monte fiede: Sempre ivi mena il Sol fereno il giorne Perche più bella cofa mai nonvede : Freschi fonti lo bagnan d'ogni ntorno E lor chiarezza à neffuna altra cede: Quivi foavi accenti al Ciel gli augelli Spargon trà i vaghi, e floridi arbofcelli,
Si dice che quei begli arbori, e fonti, E tutte quelle preziose pietre
Traffer colà dalle cime de monti
Febo, e Anfione al fuon delle lor cetres E quivi poi gli amori arditi, e pronti Depofti avendo gli archi, e le faretre, Di quelle fenno il bel palazzo in mezzo Di quei fonti, e arbofcelli, v' fempre é il rezzo.
Mà a Febo, e ad Anfione, che 'n quel loço Traffer le belle pietre a i dolci accenti Amor, che lor dovea dar fefta, e gioco E per tal merto ogn'or farli contenti : Ingrato fù, che poi gli pose in foco, E gli fà mefti pafcere gli armenti; L'un pianfe per Tefaglia, e Delo, e Cinto, L'altro induffe pietade in l'Aracin to,
D'ogni banda ha il palazzo un' ampia loggią Fatta da eccellentiffimo Architetto: Le colonne fon d'oro; ove s'appoggia Il nobile amorofo altiero tetto:
Gli embrici, che non mai fenton ria pioggia ¿ Tutti d'argento fon lucido, e schietto:
Li camini e gli merli tutti quanti Son fatti di fmaraldi, e di diamanti:
Le camere leggiadre, e l'ampie fale D'avorio fon, con tutti i camerini ; E quei di fotto, e quei dove fi fale, Co i pavimenti tutti di rubini: Li groffi travi,i gradi delle scale, Feneftre,e gli ufci, e grandi, e piccolini Son tutti di finiffimi alabaftri, Fatti con arte da divini mastri.
Si veggon di zafiri, e di cristalli, E di piropo fplender l'alte mura; E d'altri marmi azurri, verdi, e gialli; Di che i più begli mai non fè Natura Nè indi lontane troppo, fon due valli Piene del tofco,che l'ingegno fura; Nel qual gli amori bagnano i lor ftrali, Per dar a i cori, colpi aspri, e mortali.
Con arco in mano, e con faette a i fianchi Il tetto altier cingon gli crudi Amori; Non fazi mai di far pallidi, e bianchi Gli Uomini, e porli in mille ciechi errori Mà poi che diventar miei lumi iftanchi; Mirando delle pietre i bei colori : Mi volfi; e vidi affai pitture belle, Ch'un Dio dipinfe, e non Zeufi, nè Apelle,
Li gentili coftumi di quegli anni D'oro, quivi fù un muro eran dipinti s Quando aftuzie non erano, nè inganni, E gli odii tutti, e tutti i sdegni eftinti: Gli Uomini fi vedean senza gli affanni Di belle fcorze, e verdi gionchi cinti: Commune era ogni cofa, e mai non cra I Verno allor, mà fempre Primavera.
Davan i frutti le campagne intatte, Nè 'l bue fentiva il giogo afpro, e crudeleg Correan i fonti, ei fiumi puro latte, E ogni arbofcel fudava dolce mele: Non usavan ancor le genti matte Il crudo ferro, e perigliofe vele : Regnava al Mondo una continoa pace, Una concordia un dolce amor vivace,
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