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X X X.

Si vedean ftar fopra un bel colle quivi
Giovani, e donne all'ombre de gli faggi
E tra i vaghi bofchetti, e freschi rivi
Errar ficuri gli animai felvaggi s
E ogn'or più temperati, e più lafcivi
Parea Febo drizzar soi vaghi raggi:
Parea rider la terra; perche Flora
Di bella vefte l'adornava ogn'ora,

X X X I.

Quefto quel fecol fù; quando reggea
Saturno il mondo l'ottimo fignore:
Beata età; ch' allor non fi fapea ;
Che cofa foffe invidia, nè furore:
Nè 'l miler Mondo l'avarizia rea
Posto avea ancora nel perverfo errore::
E non eran allor le genti mefte;
Perchè doleffer lor ftomachi, ò teste.

X X X I I.

O Prometeo crudel di te fi dole

Il Mondo; e giusti son gli foi lamenti za
Ch' avefti ardir di torre il foco al Soles
Accoftando la verga a i raggi ardenti;
Onde Giove adirato, che dar fole
Sempre a chi 'l fprezza i debiti tormenti,
Qua giufo a noi mandò dal Cielo tutti
Gli diri mali, e morbi atroci & brutti,

XXXIII.

E poi da un' altra parte fi vedea
Arianna da Tefeo lafciata al litos
Laffa, perchè ten fuggi (dir parea )
Che promettefti d'effermi marito?
Questo non è quel che mi promettea
La blanda voce, e 'l tuo parlar ardito;
Hai date a i venti, ò perfido, ò crudele,
Le tue promeffe infieme con le vele.

X X XI V.

Or pigli effempio a i fecoli futuri
Ogni donna dal ftato ove or io fono ;
Nè alcuna fia che creda ad Vom che giuri,
Nè ch' alcun Vom fia più fedel, nè bono ::
Gruran, prometton questi ingrati, e duri
Quando di noi bramofi, e caldi fono::
Poi che lor voglie lor abbiam concefe,.
Non curan giuramenti, nè promeffe.

X X X V.

Sciolti i bei. crini avea, le labbra smorte,
Né d'alcun velo il bel perto coperto :
E foggionger parea, piangendo forte:
Mi fei crudel, e troppo ingrato certo:
Tu mi laffi alle fiere, & io da morte
Titrafli or quefto è'l guidardon che io merto
Non fai crudel perche viveffi ch' io

Yolli reftar fenz'il fratello mio

X X X V I.

Se 'I matrimonio mio non ti era al core;
Teco ifchiava menarmi almen dovevi:
Perch' io ti fervirei, come fignore,
Mi ferian dolci le fatiche, e levi:
Mà perch'indarno conto il mio dolore
A i fordi venti; e mie fciagure grevi ::
Laffa, pafto farò d'un Lupo ò d'Orfo
Poi ch' Vom non è che qui mi dia foccorso,
X X X VII.

Poi fi vedea tutto pietofo, e umano
Bacco ch' iva a trovarla fu quel lito ;
E confolava lei, che mesta in vano
Si dolea della fè del fuo marito :
Sull'afinel con un gran fiafco in mano;;
Seco era il vecchio da cui fù nodrito:
Li Satiri facean co gli alti gridi,
Riffuonar tutti quei folinghi lidi,

X X X VIII.

Poi Bauci col fuo caro vecchierello
Si vedea fotto un pagliareccio tetto 3
Ella era curva e tutta grinze; e a quello
La bianca barba copria tutto il petto:
Riccamente ambi nel lor vile oftello
In mutuo amor vivean fenza fofperto :
Polcia a duo Dei fi vede ella ch'ingombra
Di ruftiche vivande il defco all' ombra,

XXXIX,

E poi fi vede andar ardita, e presta
Al loco, ove nascosto era il carbone g
E quello fcuopre, e col fiato lo defta;
E fronde abrucia à tal bifogno bone:
E poi che gettan fiamma,ella non refta
Di portar legna, e fopra quelle pone
Al foco il pentolino ; e poi l'erbette
Colte dal fuo marito,entro vi mette,.

X L.

Nei vafi vili come foffer d'oro

Li fommi Dei mangiaro allegramente:
E quei ruftichi cibi forfe loro

Fur come Ambrofia grati fommamente;
Mà grati lor, più ch' ogni cofa foro
Il buon voler, e la faccia ridente,
E le benigne accoglienze di quelli a
Cortefi e liberali vecchierelli.

XLI

Diffe la Dea; non stanz'in gli palagi
Regali e nelle corti invidiofe

La correfia, trà gli Uomini malvagij
E nemichi alle belle opre famofe:
Mà trà color, che lieti in gli difagi*
Vivon trà folitarie felve ombrofe:
Anzi fi trovan or nelle Cittadi
L'Ambizioni, invidie, e fimultadi.

Ne gli palazzi de gli gran fignori
Quefta bontà nomata cortefia,
Che gia pregiaro i generofi cori;
A quel buon tempo, or come cofa ria
E difcacciata; e fol s'attendè a onori;
A far altrui ingiuria, e villania :
Oduro Mondo: ò fcelerati tempi
Fieni di animi avari, iniqui, & empi..

XLIII

Quanto vivon color meglio, che ftanno
Trà monti con l'amata famigliola ::
Si vede l'Ape quando è caldo l'anno
Ch' i bei fioretti al prato adorno invola
S'ode la villanella senza affanno,
Cantar filando alla dolce ombra fola ::
S'ode la melodia de vaghi augelli,
E 'l mormorar de limpidi rufcelli,

XLIV..

Quanto giova con l'aglio alla vil menfa

Scacciar la fame senza noia al core:

Quanto giova veder all' ombra denfa.
Urtarfi i fier montoni per amore;

Quivi alli regni, e a pompe non fi penfa;,
Quivi non è defir di fama, e onore ;
Mà una quiete d'animo che giova;
Più che refori, e regni a chi la piova,

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