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SATIRA PRIMA.

A MESSER

ANDREA NAPOLITANO.

Si ride di coloro, che innamorandofi delle Donne mettono il fuo fine in questa vanità: E che purche l'Uomo abbia le cofe, che richiede la Natura, fenza alcun pericolo fi. dee contentare.

A

NDREA tra le pazzie, che fon non

meno

Di rifo grande, che di biasmo de

gne,

Di ch' oggi è fi questo vil Mondo pieno, Pofto è'l penfier, che'n tutti or par che regne,. Cieco d'Amor, quando la notte, e'l giorno Spende l'Uom dietro a quefte Donne indegnes;

Er per un Volger d'occhi, & un adorno
Di caduco color feminil viso;

Perde il faper, la libertà con fcorno.
E voi innamorati al Paradifo,

Le affomigliate, al Sole, et a la Luna, O pazzi, o cofe da scoppiar di rifo. Io lodo Dio, che non mi piace alcuna Oltra misura, & voi mifero nomo,

Che per ogni canton ne volete una ; E ftupifco di voi, gia attempato Uomo

E temo che le Donne anco in dispregio Avrete al fin, dal mal Francesco domo; Onde gli ftudj, & quel cantar egregio Pofto avete in oblio, che Apol benigno Concede a voi per raro privilegio: Et divenuto di canoro Cigno

Sete un corbaccio vagabondo,e ftolto, Tanto puo in voi quefto defir maligno: Ma mi perdonarete, fe fu'l volto Com'è'l proverbio, dico a buona cera Il vero a voi, che me ne increfce molto.. Che da che l'Alba con la fronte altera Illuftra l'Oriente, infin che cade

Il Sole, e cede a l'ombra umida, e nera,

Ite penfofo per quefte ampie ftrade,
Con gli occhi a tutte le finestre intenti,
Molli talor di tepide rugiade:

E col guatar, e co i fofpir cocenti,
Con tante fberretate al fin muovetė

Per le publiche vie rifo a le genti

E la notte anco, quando voi dovete
Sopra le dolci piume al corpo laffo,
E a gli occhi dar la debita quiete:
Con fpada al fianco, & con altiero paffo;
A gran periglio d'aver molto amaro,

Per poco dolce ve n'andate a spasso:
Fuggite Amor, ch'a voi stesso discaro
Effer vi face, ei suoi penfier acuti,
E i feminili fguardi, Andrea mio caro ;
L'infidie, le parole, i vezzi aftuti;

Ch'efferne fazio pur dourefte, & ftracco,
Ch' avete omai tutti i capei canuti:
Più ch'a Ciprigna l'età voftra a Bacco

Convienfi, or dietro l'amorofa traccia
Non fiate piu cofi affannato bracco;
Lasciate che Cupennio l'amor faceia,
Che fol le nate di gran fangue mira,

E ogn'altra par ch'a lui puzzi, & difpiaccia: Che profumato tutto 'l di fofpira

Al Sole, & a la pioggia, e a la finestra
Gli occhi con certa gravitate gira.
Con la bagaglia, & dentro la ginestra s
Dio sà, fe poi quando egli a cafa arriva
Ha pane, o carne cotta, la mineftra:

Ma quanti quefta volontà lasciva,

Quefto amorofo errore anzi il di loro
Mandò di ftige a la dolente riva;

O quanti in braccio de le Donne foro
Occifi da i mariti d'ira accefi,

Per un bel occhio, et un capel crefpo d'oro:
Altri i poderi, e i ben paterni spesi
Hanno per loro, & de la patria usciti
Per vergogna cercaro altri paesi :
Altri fon baltonati, altri feriti:

Gettanfi molti giù d'un alto muro ;
Et la coda anco tagliasi a infiniti :

O quanto è meglio, ò quanto é piu ficure
Che mi goda, in pace io la mia fantesca,}-
Se ben non è fi bella, che mi curo?
Bafta ch'ella fia fana, & d'età frescas
Siate ancor uoi di questa opinione,
Ne'l buon configlio mio di mente v'esca,
Non lasciate che vinca la ragione

Cofi vile appetito, che l'Uom faggio
Comunque ci vuol, la mente fua difpone:
Che la notte talor mentre lotto aggio
Senza periglio la fervente mia,

Et fenza far ad alcun Uomo oltraggio,
Io m'imagino meco ch'ella fia

La piu bella, ch'al Sol spieghi le chiome.
Or la famofa Giulia, hor la Lucia;

E come Orazio fo, dolle ogni nome;
Cofi me ftello inganno dolcementes
Et le Frate ancor voi farete, come
Faccio io, vivrete meglio & faviamente.

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Loda fommamente la pace. Defcrive le cru deltà, che fi ufano nelle guerre, e piange Pinfelicità d'Italia, che fia fempre trava gliata.

OVRA i bei colli, che vagheggian l'Arno,

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E la voftra Città, ch' or duolfi, & ave
Pallido il vifo e lagrimolo indarno,
Son un di quei, che con fatica grave

Al marzial lavoro armati tiene

Quel che di Pietro ha l'ana, & l'altra chiave:
Qui vivo in mille guai, difagi & pene.
Onde forza è di por l'arti in oblio

Per cui famofe fur Corinto, e Atene ;
Che'n vece di Catullo, & Tibul mio
Del Mantuano & di colui d'Arpino
La lancia tutto 'l giorno in man teng' io
In vece de l'Albano, & del divino

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